L’impatto dell’influenza sulla psiche: una prospettiva di lettura ancora attuale

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Prima che la pandemia da SARS Cov-2 acquistasse prepotentemente il dominio su tutte le altre infezioni, uno degli aspetti forse meno conosciuti e perciò sottovalutati dell’influenza era rappresentato dalle sue ripercussioni sulla psiche, meglio definite nel gergo medico “correlati neuropsichiatrici”.

Un criterio di orientamento pratico si basava sul tempo di permanenza delle manifestazioni, definite acute o croniche a seconda che la loro durata fosse inferiore o superiore a sei mesi.

Il virus influenzale, “nemico” del sistema nervoso

Un primo aspetto da considerare è il rapporto che in alcuni casi si può instaurare tra il virus influenzale e il sistema nervoso centrale. Una complicanza occasionale, ma non per questo da sottovalutare, dell’influenza, infatti, è l’encefalopatia acuta, che può manifestarsi attraverso quadri molteplici e di differente gravità e decorso (da crisi convulsive al coma, dalla completa risoluzione allo sviluppo di sequele neurologiche). I disturbi neuropsichiatrici sono spesso transitori, hanno un esito favorevole e si manifestano generalmente con delirio e/o alterazioni comportamentali. Richiedono tuttavia attenzione in quanto indicatori di una condizione di sofferenza del sistema nervoso centrale che non esclude la probabilità di eventi fatali. Un’altra condizione di interesse neuropsichiatrico per la quale l’infezione da virus influenzale A o B rappresenta una condizione di rischio è l’induzione di immunoglobuline G dirette contro il recettore NMDA del glutammato, un importante neurotrasmettitore: la sieropositività, anche negli individui normali, è risultata sorprendentemente elevata – superiore al 10% – ma si ipotizza che l’azione di questi autoanticorpi possa dare luogo a un’ampia varietà di manifestazioni tra cui psicosi, declino cognitivo, epilessia e sintomi che per certi aspetti ricordano la malattia di Parkinson.

 

Quando il timore di una pandemia era limitato alla sola influenza

L’influenza suina (da virus H1N1) aveva sollevato numerosi interrogativi, che tra l’altro avevano riproposto nel passato la problematica di implicazioni neuropsichiatriche nel timore di una pandemia influenzale che, come sappiamo, non ebbe poi luogo. Un’analisi critica dei dati scientifici aveva infatti dimostrato una correlazione tra influenza e diverse forme di interessamento cerebrale (encefalite/encefalopatia, soprattutto in Giappone, convulsioni, sindrome di Reye, alterazioni dello stato mentale, mutismo, mania e, nell’ambito di conseguenze a lungo termine, malattia di Parkinson e sclerosi multipla, nei cui confronti l’influenza può agire da fattore precipitante. Ed era stata perfino avanzata l’ipotesi di un legame tra influenza e malattia di Alzheimer. A livello psicologico l’infezione da virus H1N1 insieme alla preoccupazione di massa ha promosso fobie e comportamenti di evitamento, ossessioni per il lavaggio delle mani e assunzione inappropriata di farmaci. Tutti aspetti, questi, che si possono ritrovare nelle pubblicazioni di alcuni anni fa e sono diventati tristemente attuali con la pandemia da Covid.

 

Possibili relazioni tra influenza, schizofrenia e suicidio

Secondo alcuni autori l’influenza, se contratta in gravidanza, potrebbe indurre un aumento di incidenza di schizofrenia nella prole. A questo riguardo va precisato che, mentre alcuni studi erano limitati da una metodologia poco rigorosa, altre indagini avevano documentato un aumento fino a 7 volte del rischio di schizofrenia nei figli di donne che avevano contratto l’influenza nel primo trimestre (ma non nel secondo e nel terzo). Il dato non è stato poi confermato, analogamente a una possibile relazione tra influenza e alterazioni dell’umore con tentativi di suicidio.

 

Considerazioni conclusive

Nell’ambito della medicina non sono rari esempi di infezioni in grado di coinvolgere la sfera psichica, e naturalmente il Covid ha richiamato l’attenzione sia a possibili danni diretti provocati dal virus sul sistema nervoso sia ai postumi che caratterizzano il post-Covid (o long-Covid), in particolare la sindrome da stanchezza cronica. Il messaggio conclusivo che si può trarre è dunque di prestare sempre la dovuta attenzione sia alle manifestazioni meno tipiche delle varie forme infettive, sia alla strategia che dovrebbe essere sempre prioritaria, la prevenzione. 

 

 

Bibliografia

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