Che cosa sono le convulsioni febbrili?

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Comunemente chiamate così, è stato accertato che in realtà non è la febbre a causarle. Ma la denominazione rimane perché i due fenomeni coincidono

Le convulsioni in caso di febbre spaventano i genitori ma si tratta di un disturbo abbastanza comune. Dopo il primo episodio, che va sempre segnalato e indagato, il pediatra insegna a gestire questa situazione a casa.

Fortunatamente il caso in cui è necessario ricorrere ai farmaci sono la minoranza. Il disturbo è destinato a passare con il tempo ed è raro dopo i 6 anni di età.

In una percentuale che varia tra il 2 e il 4% dei bambini compresi tra i 18 mesi  e i cinque anni di età compaiono le cosiddette convulsioni febbrili. Si manifestano in bambini geneticamente predisposti in concomitanza con un rialzo della temperatura  e quando tale  innalzamento della temperatura corporea è repentinoLa fascia di età in cui si presentano più frequentemente è quella compresa tra il secondo e il terzo anno di vita. Sono comunque abbastanza comuni anche tra i 18 mesi  e i due anni e in genere non superano i cinque o sei anni.

Non è la febbre la causa

Nonostante le convulsioni si presentino in occasione di un rialzo febbrile, non è la febbre a determinare la loro comparsaLa causa precisa non è ancora conosciuta ma non è corretto indicare nella febbre l’origine diretta di queste crisi. A tal proposito si sta lentamente cambiando la denominazione oggi in uso, che dovrebbe passare da “convulsione febbrile” a “convulsione in caso di febbre” proprio per rimarcare la coesistenza degli episodi ma senza che ci sia una relazione diretta.

Ce ne sono di due tipi

Queste manifestazioni neurologiche si suddividono in due grandi gruppi: le convulsioni febbrili semplici e quelle complesse. Le prime si caratterizzano per il fatto di essere crisi generalizzate che hanno una durata inferiore ai 15 minuti e che si verificano una solta volta nell’arco delle 24 ore. In genere dopo il primo episodio, che si ha nel momento del primo rialzo, non se ne verificano altri. Le convulsioni febbrili complesse, invece, sono identificate come tali quando non sono generalizzate (le scosse cloniche o l’ipotonia si manifesta solo su un arto), oppure quando le crisi superano i quindici minuti o ancora si ripresentano diverse volte nell’arco delle 24 ore.

Le manifestazioni classiche

Le convulsioni si possono presentare in forme diverse e non solo con la convulsione “classica”, ossia quella delle cosiddette “scosse cloniche” (i movimenti ripetuti e ritmici di braccia e gambe). Possiamo infatti avere manifestazioni definite “toniche” (caratterizzate da un irrigidimento generale della muscolatura) o opposte, cioè “ipotoniche”, con un rilassamento della stessa. Anche l’alternanza di stati di rilassamento e irrigidimento non è rara; in questo caso parleremo di convulsioni “tonico-cloniche”.

In caso di convulsione febbrile è importante mantenere la calma, appoggiare il bambino su un fianco, allentare le vesti, specie attorno al collo e diminuire l’intensità degli stimoli luminosi. Il bambino non deve essere agitato, compresso, trattenuto e nemmeno stimolato. In genere una crisi convulsiva si esaurisce entro tre minuti, ma fino a 15 rientra comunque nell’ambito della normalità.

La perdita di coscienza

Un aspetto che molto spaventa mamme e papà, quando sono alle prese con questo disturbo, è quello relativo alla perdita di coscienza da parte del bambino, il quale non ricorda nulla di quanto accaduto. Durante una convulsione lo sguardo può essere fisso avanti a sé, oppure può verificarsi anche una rotazione verso l’alto degli occhi. Al termine della crisi, sopraggiunge un profondo torpore, uno stato di sonnolenza che – è giusto dirlo subito – va assolutamente assecondato.

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Passano senza lasciare danni

Un aspetto che va compreso e fatto proprio, in caso di bambini che soffrono di convulsioni febbrili, è il seguente: le crisi semplici, “classiche”, sono eventi che sì preoccupano molto i genitori, ma non lasciano segni nel bambino. In genere chi ha figli che soffrono di questo disturbo, probabilmente ricorderà di avere avuto un parente stretto (o egli stesso) che soffriva delle medesime manifestazioni: si tratta di un disturbo che ha una sua familiarità e verso cui esiste una predisposizione, anche se non è ancora stata compresa e non c’è un esame che possa aiutare a comprendere chi è a rischio.

Quando necessitano approfondimenti

Nonostante le convulsioni febbrili siano un fenomeno benigno, ci sono alcune situazioni in cui la valutazione medica è, più ancora che importante, necessaria. Il primo episodio va sempre riferito al medico e descritto in maniera puntuale in termini di durata e manifestazioni: in questo modo sarà possibile per il medico escludere altre possibili cause di convulsione con esami specifici. Anche l’età è un fattore da tenere in considerazione: le convulsioni febbrili devono essere indagate accuratamente al di sotto dei 18 mesi di età (più bassa è l’età del bambino e maggiore è l’importanza di un corretto inquadramento diagnostico) e in generale sono sempre da monitorare con maggiore attenzione quelle complesse, rispetto a quelle semplici.

Come ci si deve comportare?

In caso di convulsione febbrile è importante mantenere la calma, appoggiare il bambino su un fiancoallentare le vesti, specie attorno al collo e diminuire l’intensità degli stimoli luminosi. La voce va tenuta bassa e il bambino non deve essere agitato, compresso, trattenuto e nemmeno stimolato. In genere una crisi convulsiva si esaurisce entro tre minuti ma fino a 15 rientra comunque nell’ambito della “normalità”, quindi i 180 secondi non devono essere misurati in maniera tassativa. Se la crisi dovesse durare per più di 15 minuti è necessario l’intervento del medico.

Non portano all’epilessia

Questo è un falso mito che va sfatato poiché non esiste una evidenza scientifica che colleghi la malattia epilettica alle convulsioni febbrili. Si tratta di manifestazioni neurologiche differenti che non hanno una relazione di causa ed effetto. Al contrario la giusta valutazione dell’origine delle convulsioni aiuta proprio a distinguere se alla base di queste c’è una epilessia o se si tratta di un disturbo neurologico benigno, destinato a scomparire con la crescita.

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