Virus e immunità: che cosa ancora non sappiamo sul coronavirus

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Si può essere contagiati più volte dallo stesso agente patogeno? Dipende dai casi. E nel caso del coronavirus la protezione potrebbe essere a breve termine

Le persone che sono state infettate dal coronavirus SARS-CoV-2 sono protette da una seconda infezione? E per quanto tempo sarà efficace un eventuale vaccino?

Sono queste due delle questioni più dibattute nella comunità medica da quando si è scatenata la pandemia di COVID-19. Questo avviene in parte perché ancora non sappiamo molte cose sul Sars-Cov-19 e in parte perché le cose che sappiamo sugli altri virus e sugli agenti patogeni in generale dipingono un quadro molto variegato, che lascia poche certezze.

Due baluardi contro i patogeni

Lo si capisce considerando come è fatto il sistema immunitario umano, che riconosce e cerca di distruggere i microbi con cui entriamo in contatto continuamente. Parlando in termini generali, esso è costituito da due diverse “linee di difesa”. La prima è chiamata immunità innata, e ha il compito di “lanciare l’allarme”, quando identifica la presenza di virus. Se un agente patogeno supera questa prima linea, entra in gioco l’immunità acquisita, o adattativa, così chiamata perché in grado di conservare una memoria degli agenti infettivi incontrati e di fornire una protezione grazie alla produzione di anticorpi. E’ utile sottolineare che sulla memoria dell’immunità acquisita si basano le vaccinazioni [1].

A seconda dei diversi casi, l’immunità acquisita fornisce una protezione più o meno completa.

In mezzo ai due estremi della protezione completa o della totale assenza di protezione si situano, ad esempio, i coronavirus stagionali, che possono provocare disturbi come il comune raffreddore; in questo caso, l’immunità dura poche settimane: ecco perché nell’arco di un anno una persona si può ammalare più volte [2].

Tutti i dubbi sul coronavirus

Ritornando alla questione iniziale sulla protezione dalla reinfezione da coronavirus SARS-CoV-2, i ricercatori sono stati impegnati negli ultimi sei mesi a cercare prove nell’organismo delle persone infettate della presenza dei cosiddetti anticorpi neutralizzanti, che agiscono legandosi alle parti delle particelle virali impedendo loro di entrare nelle cellule. Allo stato attuale delle conoscenze, sembra che l’infezione in effetti stimoli la produzione di anticorpi neutralizzanti a livelli abbastanza alti, ma dopo alcune settimane tali livelli tenderebbero a calare. Dobbiamo ancora conoscere molto su questo argomento: ad esempio, ancora non sappiamo neanche se i soggetti che hanno sviluppato sintomi gravi di COVID-19 sviluppino più anticorpi neutralizzanti e quindi una maggiore protezione nei confronti di una reinfezione.